Sto scoprendo la città poco per volta, ci vado sempre più spesso da quando mi ha rivelato la sua intima ricchezza. Dei suoi vicoli si è parlato tanto, un intreccio di vie del Campo fra cui di anno in anno si accumulano targhe, infografiche e altri ricordi. Allenando l’occhio si riconoscono tutti quei singoli interventi, che strato dopo strato sono stati lasciati dai vari inquilini che vi si sono succeduti. Così da un aspro muro medievale sgorga la cornice barocca di un’edicola dedicata alla Vergine, illuminata dall’insegna di una macelleria halal. Il fruttivendolo di fronte, tra zucchine e pomodori vende manioca e gombo. Un ristorante che conoscevo, vicino al Porto Antico, ha cambiato gestione recentemente, ma non il menù. Le ricette sono genovesi, ma le mani filippine, servirà un po’ di tempo per adattarsi.
Questa volta mi sono unito ad una visita guidata ai giardini di Palazzo Lomellino di Strada Nuova, una dimora sontuosa parte del Sistema dei Rolli. Alla fine del Rinascimento, Genova, a differenza della maggior parte degli altri Stati Europei, era una Repubblica con un’organizzazione democratica, non esattamente allargata, che tuttavia eleggeva un Doge restante in carica per un periodo prestabilito. In città mancava, dunque, una corte propriamente detta con un suo grande palazzo di rappresentanza, si poneva così il problema di come fornire ospitalità ai dignitari stranieri, che si recavano a Genova per incarichi diplomatici o per affari. La città allora fece appello alle famiglie più importanti, e con i migliori mezzi finanziari, perché abbellissero le loro residenze fino farle diventare palazzi sfarzosi. Queste costruzioni straordinarie si allineano ancora oggi lungo via Garibaldi, la Strada Nuova, e nelle immediate vicinanze. Per far parte della lista prestigiosa di nomi e cognomi abilitati all’ospitalità di alto rango era necessario iscriversi ad elenchi speciali, i Rolli, rotoli di pergamena diversificati a seconda della caratura dell’ospite: le famiglie degne di accogliere re e regine si potevano iscrivere al primo Rollo, e così via…

Verso sera incontro Alberto e Claudio, quest’ultimo in particolare è convintamente genovese e grande conoscitore della città. La discussione cade inevitabilmente sul pesto, salsa arcinota che nel mio piccolo preparo spesso, perché – cedendo alle lusinghe del mixer – è veloce e si fa sempre bella figura. Per stuzzicarlo gli chiedo cosa ne pensa dei pesti alternativi, preparati con prezzemolo, rucola, mandorle, anacardi… ma con mia grande sorpresa mi risponde: “Sono del tutto favorevole alle varianti, purché lo si chiami pesto di qualcosa, e NON Pesto alla Genovese!”.
Per il pesto servono in fin dei conti 6 ingredienti: una verdura, frutta secca tritata, formaggio stagionato grattugiato, olio, aglio e sale. La scelta degli ingredienti può essere personale, purché guidata dal buon senso e dalla consapevolezza dei sapori che si stanno abbinando. Il Pesto alla Genovese va da sé, servono basilico, pinoli, pecorino e olio extra-vergine di oliva, la ricetta è sacralmente depositata nella tradizione secolare locale, e così è.
E per quanto riguarda la focaccia del giorno prima inzuppata nel cappuccino? Tempo fa mi era stata presentata come una condizione necessaria dell’essere liguri, ma Claudio si dichiara estraneo ai fatti, a Genova non si usa.

Sul treno che mi riporta a casa ripenso ai Lomellino, che altro non erano che una famiglia di pescatori di corallo. Generazioni di duro lavoro li resero talmente ricchi da potersi permettere un palazzo in Strada Nuova. La facciata e i muri dell’ingresso sono colorati di azzurro, come quel mare che li ha portati fino a lì. Nel cortile interno un imponente ninfeo glorificato da una cascatella e da grandi statue cela l’ingresso ad un giardino all’italiana dove file di Agapanthus rinnovano ad ogni fioritura la fedeltà a quel colore ormai senza tempo.
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