Per un poco di zucchero

Marrakesh, è una città dai vicolo tortuosi dove è facile sparire, ma anche ricomparire. La storia delle tombe dei sultani Saaditi.

Le mappe della Lonely Planet sul livello di dettaglio lasciano spesso a desiderare, i punti di riferimento sulla carta sono pochi e con scarsa corrispondenza sul campo. In modo particolare se ci si trova nella Medina di Marrakesh, che è un vero labirinto di vicoli e di souq i cui nomi vengono tramandati, ma quasi mai scritti, sopra gli archi di ingresso o agli angoli degli edifici

Questo talento di Marrakesh, che rapisce il viaggiatore facendogli perdere le tracce della realtà, si ritrova quasi per magia nella storia sorprendente delle tombe dei sultani Saaditi. Questi presero il potere nella Città Rossa nel XVI secolo, epoca in cui il Marocco attraversava una profonda crisi economica dovuta ai grandi mutamenti su scala internazionale seguiti all’apertura di nuove rotte commerciali.

Il Regno del Portogallo al contrario stava vivendo un periodo di splendore ed espansione. Era il tempo delle scoperte geografiche, nuove tecniche di navigazione e alcune innovazioni, tra cui la polvere da sparo, fornivano un determinante vantaggio tecnico e militare. La piccola nazione iberica aveva così conquistato tutti i porti della costa Atlantica del Nord Africa. La rotta tracciata consentiva ai mercantili portoghesi di raggiungere navigando il Golfo di Guinea, potendosi rifornire direttamente alla fonte di beni preziosi tra cui oro, avorio, schiavi, e zucchero.

Con l’apertura di questa nuova via marittima, più agevole e sicura, persero di vitalità le rotte carovaniere che attraversavano il Sahara a dorso di dromedario, e alla fine di un lungo viaggio nel deserto confluivano a Marrakesh.

I Saaditi erano una stirpe di origine berbera, provenivano sì da valli remote dell’Atlante ma non erano certo gli ultimi arrivati. Riconquistarono tutti gli avamposti occupati dai portoghesi e ridiedero vita ai commerci attorno alla Città Rossa, a cominciare dallo zucchero.

Le tombe dei sovrani Saaditi sono una fioritura elaborata ed intricata di stucchi candidi, fragili foglie d’oro e marmo di Carrara. Persino l’aria è impreziosita dal profumo del basilico, la pianta dei re, e del rosmarino. Il cinguettio degli uccelli rimane intrappolato nei ghirigori delle decorazioni, perfetti e puri come spruzzi di pietra.

La storia del Marocco è però un susseguirsi di dinastie e passaggi di potere, così che anche per i Saaditi arrivò la triste ora del tramonto. Le tracce del loro passaggio furono cancellate dai nuovi sultani, a partire dalle loro tombe che vennero in qualche modo dimenticate, inghiottite nell’intrico della kasbah. Nuove costruzioni si ammassarono l’una sull’altra, occultando ogni accesso alle favolose tombe. Dei tesori della dinastia Saadita non si seppe più nulla, fino a che…

Fu necessaria la nascita dell’aviazione, e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Nel 1917, un velivolo sorvolò la medina di Marrakesh e scattò una delle prime fotografie aeree della città. Uno sguardo più attento al labirinto di vicoli della kasbah, ed ecco rivelata al mondo dopo circa quattro secoli questo tesoro architettonico.

Nonostante anche questa leggendaria riscoperta sia ormai a sua volta datata di un secolo pieno, nemmeno per noi viaggiatori tecnologici è stato semplice raggiungere le tombe. Come al solito le indicazioni sono scarse, le mappe poco dettagliate e la connessione internet assente. Dalla sontuosa dimora della Bahia costeggiamo l’alto muraglione della kasbah, rosso, impenetrabile e sorvegliato dalle cicogne. Passiamo davanti alle rovine del palazzo El Bedi e ci perdiamo in alcuni vicoli tortuosi dove alcuni bambini si preparano al grande spettacolo della Nazionale ai Mondiali, tirando calci a un pallone sgonfio.

All’improvviso, come uscito da una lampada magica, un cartello indica di svoltare. Sotto all’insegna un uomo dalla barba grigia e il burnus, tipica tunica berbera di lana dotata di un ambio cappuccio, con un ampio gesto della mano e lo sguardo sereno ci invita a dirigerci nella direzione segnata dalla freccia.

Imbocchiamo il vicolo per ritrovarci nuovamente in un cul-de-sac, il passaggio termina infatti in un negozio di tappeti. Ci aggiriamo per innumerevoli stanze, dove le voci della città si spengono, soffocate dal silenzio. I tappeti ricoprono pavimenti e pareti, e più ci inoltriamo nelle profondità del negozio e più il buio si inspessisce. Non resta che ripercorrere i nostri passi e ritornare all’inizio del vicolo, sotto all’insegna.

La secolare serenità dell’uomo con la barba grigia ci invita così a seguirlo e ci accompagna nuovamente all’interno del negozio di tappeti. Con la sua guida lo esploriamo ancora più interiormente, gli angoli e le piccole camere si susseguono fino a che non giungiamo di fronte a una pila di tappeti arrotolati. L’uomo con il burnus e la barba li sposta, rivelando una piccola porta nel muro retrostante.

Estrae una chiave dalla tasca del burnus, la infila nella serratura, apre la porta, e ci invita a proseguire.

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